Francesco Baccini, Cantautore Poeta del Vero – Intervista di Adriana Soares per AOB MAGAZINE



Cosa fa presa sul pubblico? Forse il fatto che una gran parte della popolazione comincia a sentirsi minoranza. Non sempre…

– “Dobbiamo rivederci”. Mi disse Francesco Baccini salutandomi dopo avergli fatto qualche scatto, essendo anche fotografa, anni fa. E a distanza di anni ci siamo risentiti e abbiamo fatto più di quattro chiacchiere.

Photo Adriana Soares
Un uomo libero in un mare di pensieri, parole e note sparse e apparentemente poco ordinate, ma con una sua logica geniale e calzante. Questo è l’Artista, in grado di svegliare, di rompere gli schemi dell’esser comune. Sensibile al problema quello sociale, al civile, al morale, allo spirituale, al potere e alla libertà. Un sogno, forse? La sua opera musicale riflette la personalità di uomo insofferente, perché tutti gli artisti sono mossi da quell’inquietudine tipica di coloro che sono in grado di vedere al di là del presente. Un Ulisse che avanza a ritroso. Una Cassandra che avverte senza successo. Munito di una grande lente disincantata e sincera, da cui poter osservare la realtà da un punto di vista oggettivo e non elitario. È dunque un privilegio scoprire un vero spirito libero e un poeta del vero.

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In ormai trent’anni di carriera, Francesco Baccini occupa un posto speciale nel panorama della musica italiana, sempre più uguale a se stessa. “Un cane sciolto”, identificato da se stesso, indomabile che cerca di offrire un punto di vista, una prospettiva unica, diversa, intelligente e molto spesso geniale sulle cose e sul mondo. Privo di filtri e, in un certo qual modo, colmo di quello stupore fanciullesco che sarebbe una salvezza per ognuno di noi, più occupati nel piacere agli altri che a noi stessi, incapaci di cogliere la bellezza nelle cose, in quelle più semplici e quindi le più importanti.

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Nel 1989 pubblica il suo album d’esordio Cartoons, premiato come rivelazione a Saint Vincent e vince la Targa Tenco come migliore opera prima; nello stesso anno vince un disco per l’estate con Figlio unico, canzone tratta da questo album.Nel secondo album, Il pianoforte non è il mio forte è contenuto il singolo Le donne di Modena e la presenza del duetto Genova blues con Fabrizio De André segna l’inizio di una serie di collaborazioni con altri artisti. Nel 1990, vince il Festivalbar con il brano Sotto questo sole, in coppia con Paolo Belli e i “Ladri di Biciclette”. L’album Nomi e cognomi del 1992, fu scritto con tanto coraggio, poiché ogni canzone era intitolata con il nome di un personaggio reale o inventato. Nessuno lo ha più fatto, e di coraggio ce n’è voluto davvero tanto, considerando che c’erano Adriano Celentano, Antonello Venditti, Diego Armando Maradona, Renato Curcio e un certo Giulio Andreotti. Con questo album ottiene il maggiore successo commerciale, affermandosi definitivamente come erede della tradizione dei cantautori liguri. Partendo dai Premi Tenco, dalle vittorie al Festivalbar, un Sanremo, una speciale amicizia con Fabrizio De Andrè e Enzo Jannacci e tanta musica, continua per diverse stagioni che testimoniano una tra le ultime fioriture in The Swing Brothers, creatura a quattro mani che lo vede in coppia con un altro collega di talento tale Sergio Caputo. Condivide una sorprendente tournée teatrale in cui il duo si è presentato al pubblico, riscuotendo successo ed entusiasmo in ogni tappa, originando il disco: Chewing Gum Blues (Edel). Nel 2013 svolge il proprio primo tour di concerti in Cina, toccando Pechino, Shanghai, Guangzou, Shenzen e Hong Kong. Lì collabora con Cui Jian, la più grande rockstar cinese, con cui si esibisce in Cina e al quale consegna il Premio Tenco 2013. Baccini nel 2018 sarà anche impegnato con il cinema: col film «Credo in un solo padre», con la regia di Guardabascio, dove il cantautore, oltre ad aver composto e cantato la colonna sonora, interpreta la parte di un figlio che cerca di liberarsi dalla tirannia di un padre padrone con tratti da orco - ruolo di Massimo Bonetti - in una storia attuale che parla di violenza sulle donne tra le mura domestiche. In uscita anche un docufilm sulla vita e la carriera di Baccini.

Più che un’intervista è una chiacchierata con un amico di lunga data.

Sei l’ultimo cantautore della Scuola Genovese, studi il pianoforte da bambino e dopo esserti dedicato ai grandi compositori del passato, a 20 anni, scopri la musica leggera. Come ti sei avvicinato alla musica? Cosa ti ha trasmesso?

Mi sono avvicinato alla musica, grazie a un regalo. Da bambino mi hanno regalato un organetto e vedendomi suonare a orecchio decisero di farmi studiare piano. Seguirono 8 anni di studio e da lì è iniziato tutto. La mia vita me la ricordo solo con la musica. Fin da bambino ho sognato di vivere di musica e sono riuscito a realizzarlo. Non è stata cosa semplice, perché oggi sarebbe impossibile. Non esiste alcuna meritocrazia. Non si può campare di sola musica o di sola arte.

La meritocrazia?

Con tanti difetti che ha l’America che si copia in tante cose, dal consumismo al suo modo di vivere, una cosa positiva ce l’ha: la meritocrazia. In America se non sai cantare o recitare, lì non canti e non reciti. L’unica raccomandazione che ti possono dare è di farti fare un provino e se non sei bravo rischi di far perdere la credibilità a chi ti ha raccomandato e quindi difficilmente si espongono, se proprio non sei meritevole.

Come spieghi che a Genova esista una sorta di magia? Terra che ha dato i natali a grandi personalità come Cristoforo Colombo, il premio oscar Pietro Germi, cantautori come Fabrizio de Andrè e Luigi Tenco, e comici come Paolo Villaggio, Luca e Paolo. Come mai?

Ci sono dei luoghi dove confluiscono delle energie e succedono delle cose. Genova è uno di questi. Forse perché è un porto di mare, vi è un grande passaggio di persone e scambi di cose, di idee e di culture. Città di artisti e non solo. Culla di grandi artisti: penso al più grande musicista di tutti i tempi: Niccolò Paganini o al grande attore Vittorio Gassman, il mio amico cantautore Fabrizio de André o al regista Pietro Germi, il primo regista italiano a vincere l’oscar con: “Divorzio all’italiana”.La gente neanche lo sa che erano genovesi, perché noi di Genova siamo molto riservati.

Quindi come si nasce artisti?

Gli artisti nascono dalle difficoltà. È più semplice trovare un artista brasiliano che svedese. Nascono dai luoghi più poveri. I più grandi artisti del passato tali i pittori erano dei morti di fame. Perché essere artista nel passato non voleva dire certo esser ricco o popolare. Non si può diventare artista, o lo sei o non lo sei. Negli ultimo ottant’anni è cambiata la visione dell’essere artista. Oggi lo si diventa se vendi tanti quadri o dischi. Prima i pittori non vendevano un quadro, o tali erano la maggior parte di essi, come Van Gogh. Anche i più grandi musicisti morivano di fame, vedi Mozart che è stato persino sepolto in una fossa comune. È solo nel ‘900 che l’artista è diventato un “prodotto.” E chiunque avrebbe potuto essere artista. E per questo ringraziamo Marcel Duchamp.

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Perché il tempo? Cosa intendi?

L’artista supera la morte. Perché ha una visione del mondo che è all’avanguardia e che mostra una via che non viene mai compresa da vivo, perché supera se stesso. 6- Dove sono finiti i cantautori con le loro Canzonette? Canzoni che ti inducono al pensiero. Come te lo spieghi l’appiattimento dei generi che ci vengono proposti? Una volta i discografici non capivano nulla di musica. Ci pagavano per fare dei dischi sperimentali che funzionavano. Ad un certo punto, si sono affidati alla figura del “ direttore artistico”, una persona comune in grado, secondo loro di capire il gusto della gente, del pubblico medio. Ovviamente, questo fattore ha abbassato il livello delle nuove proposte e della musica. Infatti, i discografici non rischiano più. Producono solo cose che possano piacere alla massa. Ovviamente, quest’ultima tende verso il basso. La legge dei numeri premia questo tipo di prodotto che non sarà più di qualità. Non è vero che sei un bravo artista se vendi 50 milioni di copie. Vuol dire che ci sono 50 milioni di persone che si identificano con quello che produci. Ma l’arte è un’altra cosa. Non è il fenomeno di Sfera Ebbasta.

L’amore per Baccini.

L’educazione sentimentale è saper gestire le proprie emozioni. E questa la si apprende, la si studia. Se non la si impara, si resta a livello animale. Uno ha un’emozione ma se non ha gli strumenti, la cultura per gestirla viene fuori un cataclisma. Oggi la maggior parte della gente vive le emozioni a livello primordiale, animalesco. Una volta l’educazione sentimentale, l’emozione era data dai libri e dall’esempio in famiglia. Leggevi libri e lì vedevi rappresentati la gioia, il dolore, l’amore. Purtroppo, oggi non leggono più e crescono con la play station. Oggi i ragazzi sono delle lavagne vuote e crescono abbandonati a se stessi e si fanno idee sbagliate di come è il mondo e sono incapaci di gestire le proprie emozioni. Anche la famiglia il più delle volte è assente.La nostra vita è fatta di esempi, se questi vengono a mancare, salta tutto. Questo discorso parte da lontano, è tutto una catena fino a quando non arriverà una generazione che romperà gli schemi perché si arriverà ad un punto talmente basso che faranno saltare tutto.

Nel 2011 ha fatto il tour: “Baccini canta Tenco”, interamente dedicato al cantautore genovese tragicamente scomparso. Oltre ad essere un’operazione culturale e un omaggio ad un Grande Artista, cosa intendevi comunicare? Mi parli di questo progetto e dell’esperienza artistica e umana che ne hai tratto.

Luigi Tenco è morto nel ’67 e lo conoscono solo perché è morto a Sanremo. Visto che non conoscono la sua opera, ma solo qualche canzone, allora mi divertiva fargliele conoscere, visto che non aveva fatto mai un concerto come lo intendiamo noi. Perché nel 67 non si facevano concerti. Mi divertiva l’idea di portare le sue canzoni in giro per i teatri. Tante canzoni avrebbero potuto essere state scritte ieri. Altre no, sorpassate. È stato il primo cantautore in Italia a utilizzare un certo linguaggio. Prima c’era amore, cuore. Poi arrivò Tenco col suo: “Mi sono innamorato di te, perché non avevo niente da fare…”, una frase rivoluzionaria per l’epoca. Per lui la musica era una cosa seria, non un gioco. Non essendo stato compreso, lo ha portato all’autodistruzione.

Penso alla frase di Luigi Tenco: “ io vorrei essere là sulla mia isola verde ad inventare un mondo fatto di soli amici”. Face Book è come un grande bar dove ci si trova e dove si scambiano idee e dove, perché no, si stringono amicizie. Qual’ è la tua posizione sui social? Si è liberi?

In quegli anni erano tutti idealisti. Il contrario di oggi. Sono nati durante la guerra e sognavano di ricostruire un’Italia migliore e non ci sono riusciti molto.

Sanremo…

Qualche giorno fa avevo postato un’intervista dell’85 di Enzo Biagi a dei cantautori che a quel tempo andavano per la maggiore quali: Lucio Dalla, Pino Daniele, Francesco Guccini, Francesco De Gregori e Fabrizio de André… e le risposte di tutti o di quasi, era stata che non ci andavano a Sanremo o erano contrari. Essendo cresciuto in quel periodo, non ho mai pensato che la musica dovesse essere una gara. E la risposta più bella era stata quella di Fabrizio De André, che diceva che non si può fare “una gara con i sentimenti”, al massimo sono gare di ugole. Ormai la musica è un torneo, ma la vera musica non è questa.

L’ascolto della musica allora non è un’azione naturale?

Se ci pensi l’ascolto della musica va guidato, non è che ti svegli la mattina e ascolti Beethoven o Miles Davis. Ci vuole una preparazione per saperli ascoltare. Se non ce l’hai ascolterai per forza cose di scarsa qualità o poco impegnative. Il tutto dipende dalla cultura di ognuno. Negli anni ’70 andava di moda che i figli degli operai, piuttosto che andare a fare i contadini, andavano all’università. Quindi il livello culturale era aumentato perché studiavano. L’impegno era fondamentale, ora invece, si aspira a saltare le tappe. Oggi il Festival di Sanremo è l’unico momento in cui la gente parla di musica.

Nel 2013 sei stato in Cina, impegnato con un Tour di 5 concerti da Pechino a Shangai. Com’è stata questa esperienza? Come è nata e cosa ti ha lasciato? La musica com’è vissuta dai cinesi? Hai trovato delle differenze rispetto all’Italia?

Sono diventato amico della più grande rock star cinese chiamato Cui Jian, colui che ha portato il rock in Cina. È il Bob Dylan cinese. Cui Jian ha visto il mio Tenco e mi ha proposto di fare un duetto in Cina, dove lui cantava in cinese ed io in italiano. Questo pezzo è diventato famosissimo lì e mi sono ritrovato famoso in Cina. Il tour ha toccato tutta la Cina. È stato come andare su Marte, così mi sono trovato a dover fare 10, 11, 12 bis a migliaia di cinesi che parlavano e scrivevano in una lingua che non c’entra nulla con l’italiano. La Cina è un po’ come l’Italia negli anno ’60, in un momento di boom economico e di grande voglia di apertura dopo centinaia di anni di chiusura. Hanno una grande curiosità di vedere il mondo fuori.Un’esperienza divertente e interessante l’aver dovuto girare tutta la Cina, era stato come cantare su un altro pianeta.

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Quindi la cultura in Cina è importante?

In Cina la cultura è la cosa più importante. Hanno una sorta di adorazione nei confronti dell’Italia. E pensano che l’Italia sia la culla della cultura occidentale. Poi quando gli ho detto che agli italiani non interessa molto la cultura, loro non ci credevano. È un po’ come dire: in montagna invece di investire sulle piste da sci, investono sulle cabine da spiaggia. Per loro questo è sconvolgente.

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Viviamo in un momento di crisi musicale, potresti lasciare un messaggio ai giovani che vorrebbero intraprendere una carriera nel mondo musicale? Cosa dovrebbe fare chi volesse far parte del mondo della musica indipendente? Sono intrepidi sognatori o sono dei rivoluzionari?

Oggi la parola idealista non sanno neanche cosa voglia dire. Sono proiettati solo sulle vendite e sul guadagno: sulla fama. L’esempio che seguono è quello di chi fa tanti soldi. È l’unico metro che conoscono. Quando mio figlio era piccolo, dovevo insegnargli l’idea del risparmio in una società che non ricicla ma che getta il vecchio o il rotto per il nuovo. Tutto diventa obsoleto e inutile. Si cerca la via più comoda e meno faticosa. L’impero Romano è crollato così, se ci pensi. Il dramma del suo crollo è che poi è arrivato il Medioevo.

Quindi bisogna distruggere tutto per tornare al Rinascimento. Quindi aveva ragione Machiavelli o Vico con l’idea del tempo circolare e che tutto torna: Corsi e ricorsi? Un’idea pessimistica del tempo dunque?

Certo per arrivare al Rinascimento si dovrà vivere tutto il Medioevo, questo è il dramma. La storia torna sempre. Se ci pensi l’uomo non impara mai dalla lezione che gli viene data dal passato. Ha la memoria corta. Visto che, non hanno mai fatto la guerra e anche se gli si dice che è una cosa negativa e terribile e non va fatta. Finiscono col farla, solo per provarla, per assurdo.

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Dio e Baccini. Qual è il tuo rapporto con Dio e la fede?

Ho la mia spiritualità che non è quella cattolica. Credo che esista una forza che non so assolutamente cosa sia e che questa abbia dato origine al mondo. Però non la si conosce. L’uomo con la religione ha sempre cercato in realtà di comandare sull’uomo. È l’oppio dei popoli. Sono un curioso, mi devi convincere forse con un filmato you tube con la voce di Dio. Sono storielle di 2000 anni e non ci credo. L’umanità farebbe un passo gigantesco se superasse le religioni. Credo che viviamo qui il Paradiso e l’Inferno. Insomma sono sulla terra. Se proprio vogliamo dare una speranza mi piacerebbe pensare che il colloquio che stiamo facendo ora, lo abbiamo già fatto in passato, ma è solo che non ce lo ricordiamo. Se il mondo è mosso da un’energia che si muove ciclicamente e che si ripete, come accade con le stagioni, se ci pensi, facciamo parte di quest’energia, che si rigenera, si rinnova e si ripete all’infinito. Quelle storielle potevano funzionare 2000 anni fa quando un fulmine era considerato Dio. In realtà siamo mossi dalla paura della morte e questa è la questione cruciale. La si cerca di esorcizzare. La religione ti conforta, ti da delle spiegazioni e ti dona l’eternità dopo la morte. Sicuramente ho la mia spiritualità, che però non confluisce con quella delle religioni e dei loro dogma.

Davanti all’affermazione che la musica è la forma d’arte più vicina a Dio. Cosa mi dici.

La preghiera è un mantra e la musica è la forma di mantra più alta che c’è. La musica è l’arte fra tutte, la più vicina a Dio perché ti entra dentro e non è una cosa fisica. Ti fa vivere in un’altra dimensione. Ti fa sognare. Un mondo senza musica, sarebbe un mondo morto. Infatti nelle dittature era proibito l’ascolto della musica, perché ti fa viaggiare stando in camera tua, in quel momento sei libero. La devi solo ascoltare, mentre il libro lo devi leggere. Tocca delle corde inimmaginabili, basta avere il dono dell’udito. Non a caso Dante nel Paradiso, ha messo un coro di Angeli, più vicini a Dio, che cantavano all’unisono rendendogli grazie. Mentre nell’Inferno potrai ascoltare solo urla, lamenti, pianti e stridore di denti.

L’Album “Nome e Cognomi” hai venduto 600.000 copie. Se dovessi riportarlo al 2017 avrebbe avuto lo stesso successo e scalpore?

Se lo riportassi ad oggi non sarebbe neanche uscito. Quell’ album ha segnato il corso della mia carriera. Perché in Italia se tocchi gente come Andreotti diventa pericoloso. E da lì hanno iniziato a invitarmi sempre di più in televisione. Avevano capito che ero uno che dice quello che pensa e non parla a nome di nessuno. Sono un “cane sciolto”, non sono addomesticabile. Viviamo in un’epoca del politically correct, io sono molto scorrect. Se fai pensare, sei pericoloso: “io sono la voce stonata in un coro…”

Fabrizio De André e Luigi Tenco, come ti spieghi che abbiano avuto così tanto successo più da morti che da vivi? Viviamo in uno strano mondo, se ci pensi anche nell’Arte è così.

Non esistono più figure di riferimento, che hanno credibilità. Le uniche figure di riferimento sono i morti. Perché non possono più parlare e non sono più pericolosi. Nessuno li potrà più smentire e non possono più intervenire. Mi divertirei a chiedere il parere di Fabrizio, cioè di commentare gli ultimi 20 anni d’Italia. Penso che ciò che direbbe non andrebbe bene a nessuno. Perché era un “cane sciolto” anche lui, peggio persino di me. Se fosse stato vivo, sicuramente gli darebbero del vecchio rincoglionito e l’avrebbero liquidato così. Immagina inoltre Pasolini, se avesse avuto una pagina face book. Immagina cosa sarebbero stati in grado di dirgli oggi? Tra insulti sessisti o di genere. Sicuramente non sarebbero credibili, anzi. Perciò, concludendo, per essere credibile devi morire. Adriana, devi morire per essere credibile.

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Quindi non abbiamo speranza? Cosa speri per il futuro: libertà, altruismo, rispetto. Cosa aggiungeresti a questa lista? Possiamo essere ottimisti?

La speranza è l’ultima a morire. Le cose le cambiamo noi, non la speranza o il fato. Siamo noi a decidere e dobbiamo fare e non perderci in chiacchiere da bar. Chiacchiere inutili che servono solo da scuse come scusante ai nostri fallimenti. Anzi già il fallimento sarebbe qualcosa perché avrebbe voluto dire che comunque hai fatto qualcosa, hai tentato… e che sei coraggioso. E oggi il “fare” è quasi da eroi. È assurdo! Le cose non cambiano da sole. Se dici:”Speriamo!” Hai già perso in partenza. È una scusa a te stesso per non far nulla. È troppo comodo. La speranza reale è che si svegli una generazione che possa cambiare il mondo, senza paura e che rivoluzioni “il nulla” in cui stiamo sguazzando oggi. Che si sveglino da questo torpore creato da questo mondo virtuale e finto, che trovandosi nella vita reale possa dire: ok cominciamo a lavorare. La realtà è lavoro. Lavorare 8 ore e guadagnare 30 euro al giorno. Così si darà valore alle cose. Questo è il vero genio, come diceva Picasso: “il vero genio è lavorare 8 ore al giorno…”



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