Fotografare il cibo non è facile, al contrario, come ci spiega Martino Dini, giovane e talentuoso fotografo del food, ci mostra quanto fotografare il cibo è più complesso di quanto si pensi, un'operazione che esige molta professionalità perché implica un'ottima padronanza della luce e del set, il tempo a disposizione è brevissimo e va ben sfruttato per beneficiare al massimo dell'aspetto estetico di una pietanza.
E’ fondamentale quindi riuscire a comunicare il sapore, i profumi, le suggestioni, persino i valori veicolati da piatti e ingredienti, anche attraverso l'immagine, unico mezzo la vista.
Noi siamo quello che mangiamo, e, nel mio caso, quello che riesco a fotografare e come lo fotografo, mi dice Martino Dini, e un giorno, sempre alla ricerca di cose nuove che stimolano la mia fantasia, ho “scoperto” il cucchiaio, facendoci sopra delle riflessioni, infatti per me il cucchiaio mi sa di casa, profuma di terra, l’odore di casa mia, dove rinasco mille volte ogni volta che torno a casa, sapori che fanno parte della mia vita, che mi accompagnano in ogni evento cadenzando i momenti, fanno ridere la mia anima, mi accompagnano fra la gente.
Fotografando io rubo l’attimo, devo trasmettere la passione e la qualità che ci sono dietro le mani dello chef, in un attimo devo fermare e mostrare la sua abilità, la sua storia, esalto il primo attore che sono le sue mani, le faccio parlare, fisso il candore della tovaglia, le pieghe, la luce, i chiaroscuri della materia cucinata, i colori, la sua fantasia, l’estro, mille pensieri condensati nell’attimo, prove su prove, accostamenti di sapori, io devo tramettere la cultura visiva del cibo, ma ad ampio respiro, far riflettere chi osserva, farlo immedesimare in una condivisione creativa, ribaltare la forma di nutrimento in un riflesso per gli occhi.
Far diventare invitante un piatto, gustoso, far venire l’acquolina in bocca….come si dice, io racconto e la mia è una bella storia e il cucchiaio è il mio complice, tondo, liscio, freddo, lunare, affascinante, sensuale nella sua rotondità, lo porti alla bocca e nel cucchiaio ti immergi, ti tuffi per gustare un cibo morbido, materno, quasi un libido, ed invece il mio cucchiaio vuole essere come una tela di canvas per l’artista, riflette il cibo, lo esalta, racconta uno sfondo, ferma un habitat e fa da contorno ad un piatto, composto di materia e luce, colori e voluttà, volumi e fantasia.
Ed io faccio parlare i miei cucchiai fantastici, che raccontano incredibilmente parole e pensieri, viaggi mai intrapresi ma solo immaginati, visioni diverse, talenti e storie di uomini, di professione cuochi, immagini non banali di monumenti e chiese, piazze, la vita in un cucchiaio, per parlare di una cultura del cibo di ampio respiro, sperimentazione e contaminazione fra linguaggi ed esperienze diverse.