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Questa edizione del Festival, nata sotto l’insegna dell’”uguaglianza e diversità” delle donne, come sottolineato in apertura dalla Presidente della giuria Cate Blankett, non ha avuto un film che sia decisamente emerso sugli altri; ne è la testimonianza il fatto che il verdetto non sia stato unanime e che si sia voluto premiare, in definitiva, tre film ( quello giapponese, quello libanese e quello americano) che trattano argomenti di attualità e di prima pagina a discapito della qualità, in effetti alquanto scarsa degli altri film in concorso.
Nato sotto l’insegna del femminismo e del #mee too e con un Presidente di giuria per la prima volta donna, ci si attendeva magari una Palma d’Oro in rosa, circostanza avvenuta nelle precedenti 70 edizioni solo una volta nel 1993 con la regista Jane Campion; invece hanno prevalso considerazioni più attente ai problemi della società moderna con le sue guerre, migrazioni e bimbi abbandonati.
E’ stato, invece, il gossip il fenomeno che ha caratterizzato questa edizione: dai dibattiti contro le molestie sessuali partiti già dall’inizio con alcune dichiarazioni di Roman Polanski (peraltro assente) secondo cui “Mee too è “un’isteria collettiva, una totale ipocrisia” alla “tirata” finale di Asia Argento che in un suo non programmato intervento in chiusura ha rivelato di essere stata abusata da Weinstein proprio a Cannes nel 1997. Né sono mancati riferimenti alla assenza, dovuta a ragioni politiche, del regista russo Kirill Serebrennikov e del regista iraniano Jafar Panahi che comunque hanno visto premiati i loro film, rispettivamente “Leto” e “Three Faces”.Nota finale, per alleggerire l’atmosfera, l’accento sui fantasiosi e strutturati abiti esibiti sul red carpet dalla designer Larisa Katz, molto spesso impegnata in progetti e costumi per il cinema.