GIOVANNI PASCOLI E L’ETERNO FANCIULLINO
di Giuseppe Lalli
Giovanni Pascoli
, nato a San Mauro di Romagna l’ultimo giorno del 1855 e morto nel 1912 a Bologna, dove era stato chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana succedendo a Giosuè Carducci (1835-1907), nella sua non ricca biografia ebbe due eventi rilevanti, decisivi anche in relazione alla sua opera letteraria: l’uccisione, rimasta invendicata, di suo padre mentre lui era in collegio a Urbino, e l’acquisto, seguito al restauro, della bellissima casa di Castelvecchio in Garfagnana, dove il poeta tornò con regolarità, e dove la sorella Maria custodì esemplarmente carte e arredi.

X agosto (1896)
San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto: l’uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell’ombra, che attende, che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido: l’uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono…
Ora è là, nella casa romìta, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d’un pianto di stelle lo inondi quest’atomo opaco del Male!
Nascondi le cose lontane, nascondimi quello che è morto! Ch’io veda soltanto la siepe dell’orto, la mura ch’ha piene le crepe di valeriane.