Venezia78: A Karine Tuil il Premio Kinéo/La Nave di Teseo Arte e Letteratura per “Le cose umane”



Consegnato alla scrittrice Karine Tuil il Premio Kinéo / La Nave di Teseo Arte e Letteratura 2021 per il romanzo

“LE COSE UMANE”

da cui è tratto l’omonimo film con Charlotte Gainsbourg in concorso alla 78 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

 

È stato consegnato presso Villa Ines il prestigioso riconoscimento Kinéo Arte e Letteratura che sancisce una collaborazione con La Nave di Teseo, casa editrice diretta da Elisabetta Sgarbi, alla scrittrice francese Karine Tuil, per il suo romanzo Le cose umane, in corso di traduzione in 12 lingue, e oltre 350 mila copie vendute solo in Francia, appena uscito in libreria per La nave di Teseo.

È stato consegnato presso Villa Ines il prestigioso riconoscimento Kinéo Arte e Letteratura che sancisce una collaborazione con La Nave di Teseo, casa editrice diretta da Elisabetta Sgarbi, alla scrittrice francese Karine Tuil, per il suo romanzo Le cose umane, in corso di traduzione in 12 lingue, e oltre 350 mila copie vendute solo in Francia, appena uscito in libreria per La nave di Teseo.

Oltre all’autrice, all’evento sono intervenuti il direttore generale ed editoriale Elisabetta Sgarbi, il presidente de La Nave di Teseo Mario Andreose, la presidente del Premio Rosetta Sannelli e il critico cinematografico SNCCI Carlo Gentile. Dal romanzo è stato tratto l’omonimo film, presentato nella selezione ufficiale della 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e diretto da Yvan Attal con protagonista Charlotte Gainsbourg, Pierre Arditi e Mathieu Kassovitz. Le cose umane racconta un tema delicato e d’attualità che ripropone anche quanto avviene di consuetudine con fughe di notizie e processi mediatici con la conseguente disgregazione di situazioni familiari, personali, politiche. Il film di Attal, accolto bene dalla critica, riprende, appunto, con grande attenzione la delicata storia raccontata dalla Tuil: un processo per stupro, la paura da parte della vittima di dire no e le dinamiche impietose della macchina giudiziaria. Alla scrittrice francese è stato consegnato il premio con la seguente motivazione, a firma della scrittrice Elena Stancanelli:

Nelle faccende umane il nodo del bene e del male è inestricabile. Basta avvicinarsi, osservare con maggiore attenzione: ognuno ha le sue ragioni. Buone, ottime, confutabili, di mediocre utilità… una montagna di ragioni possibili governa ciascuno dei nostri gesti. Il romanzo di Karine Tuil racconta con esattezza di questo nodo. E lo fa a partire dal luogo dove, per eccellenza, le ragioni devono essere prodotte: un processo. Le prime pagine non sembrano neanche appartenere a un romanzo. La sua aderenza ai fatti che vediamo svolgersi, i riferimenti alla realtà, producono l’impressione che si tratti di un’inchiesta. La giovane Claire Farel, che ritroveremo una ventina d’anni dopo come una delle protagoniste, è stagista alla Casa Bianca insieme a Monica Lewinski – non ho bisogno di spiegarvi chi è – e Huma Abedin, che sarebbe diventata la più stretta collaboratrice di Hillary Clinton e moglie di quel Anthony Weiner che bruciò la sua carriera politica per il vizio di mandare foto di erezioni alle sue amanti. Questo è il calco, da qui, da questo big bang dell’Occidente si origina la vicenda de Le cose umane. Tutto esplode a partire da un unico detonatore: il sesso. Claire diventa madre di Alexandre, Alexandre si mette nei guai per quello che la vittima denuncia come uno stupro. Intorno le famiglie si disintegrano e l’eros è padrone. “Al sesso e alla lusinga della devastazione, al sesso e al suo impulso selvaggio, tirannico, irrefrenabile, Claire aveva ceduto come gli altri, un colpo di testa, in uno slancio irresistibile, buttando all’aria tutto ciò che aveva pazientemente costruito, cioè una famiglia, una stabilità emotiva, un punto fermo durevole.” 

Il romanzo, sul cui sfondo scorre ovviamente la cultura del #Metoo, guarda e non giudica, inventa e incastra storie di uomini e donne travolti dal desiderio da una parte e dalla paura dall’altra. Immobili, sotto la spinta di due correnti opposte. Credibile fino al dolore di una nostra deforme immagine riflessa nello specchio, che vorremmo dimenticare, Le cose umane ha dentro Philip Roth e George Bataille, l’angoscia dell’invecchiare, l’ottuso rifugiarsi nella claustrofobia dei riti anche religiosi, l’ossessione della solitudine, ma è soprattutto un romanzo appunto dell’umano, nella sua declinazione contemporanea: scomposta, fragile finale.

Ben_Attal_les_choses_humaines

“Si era spesso delusi dalla vita, da se stessi, dagli altri. Si poteva tentare di essere positivi, qualcuno avrebbe finito con lo sputarti in faccia la sua negatività e la positività si annullava. Di quell’equilibrio mediocre si crepava, ma lentamente, a singhiozzo, con pause rassicuranti che offrivano una breve euforia: una gratificazione qualunque, l’amore, il sesso… dei flash, la certezza di essere vivi. Era nell’ordine delle cose. Si nasceva, si moriva. Tra l’alfa e l’omega, con un po’ di fortuna, si amava, si era amati. La cosa non durava, prima o poi si finiva con l’essere sostituiti. Non c’era da ribellarsi, era il corso invariabile delle cose umane.”



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